Doppiata la boa del terzo romanzo, Antonio Grassi si conferma una presenza significativa all’interno della cultura, quantomeno cremasca. E siccome ogni traguardo presuppone una nuova responsabilità è diventato lecito ai suoi lettori chiedere cosa questo romanzo riserberà loro, quali elementi di novità e di continuità col passato. Quanti hanno apprezzato l’abilità di Grassi a giocare con i luoghi deputati del genere poliziesco non rimarranno delusi: una trama complessa ed intrigante che si regge su colpi di scena inattesi e ben calibrati, poi una caratterizzazione dei personaggi principali che provengono da modelli ben riconoscibili. Dallo stampo di un Hammet o di Chandler escono i suoi commissari ed i suoi giudici: uomini piegati dal dubbio ma fedeli alla legge, soprattutto quando si mostra così inadeguata, leali fino alla sofferenza e convinti di rappresentare l’estrema risorsa del bene in una società alla deriva. Ma il nuovo romanzo di Grassi vuol essere anche qualcosa di più profondo di un complesso giallo tradizionale: l’autore ha progetti più ambiziosi e mira più in alto. Allora ritorna ancora più difficile e sofferto il rapporto-scontro con la provincia: realtà a tratti disprezzata, ma così disperatamente amata da non potersene distaccare. Piovono quindi i pesanti sarcasmi sulla Repubblica del tortello. Nel rappresentare con sofferta partecipazione questo torbido materiale, Grassi rende ancora più incisivi i suoi strumenti espressivi: una prosa ferma ed esatta, un ritmo martellante e scarsi indugi lirici rendono la pagina mossa ed aggressiva. Una luce violenta ed impietosa da moralista cupo, piove sulla nostra società sul nostro fragile ed inautentico modo di vivere e di amare. Vittorio Dornetti, 2007. Pagine 480. Codice ISBN: 9788890074837 Copertina:Chiara Montani Grafica GM info@graficagm.it
Il cuore batte ancora
Capitolo primo (Sabato 18 settembre 2004)
Da due anni la molla della porta attendeva di essere rimpiazzata, ma l’intervento veniva rimandato, scavalcato da altri più urgenti. Il silenzio fu violentato dal fragore del battente contro lo stipite. L’uomo fissò la donna con disprezzo. Era entrata decisa, mentre lui preparava l’altare per la celebrazione della Santa Messa. Aveva tralasciato il segno della croce e abbozzato una genuflessione davanti al tabernacolo. Un’occhiata a destra ed una a sinistra, poi si era diretta verso la statua della Vergine Maria, seguita dallo sguardo dei pochi fedeli presenti. Il coro della Schola gregoriana, diffuso da minuscole casse nascoste in qualche cavità delle pareti o del soffitto, per un attimo aveva stonato. Giancarlo Bellingeri scosse il capo. Tailleur beige attillato, tacchi alti, la signora non figurava tra i frequentatori della Messa delle cinque, neanche nell’elenco dei visitatori meno assidui e neppure nella lista dei saltuari. No, non figurava da nessuna parte. Quell’estranea non aveva mai bazzicato la sua chiesa, piccolo capolavoro della metà del Cinquecento, rimaneggiata nei secoli successivi e caratterizzata da stucchi settecenteschi di ottima fattura. La considerò un’intrusa, anche se don Agostino ripeteva in continuazione che la casa del Signore accoglie chiunque, senza aggettivi o, come si usava da un po’ di tempo, senza se e senza ma. Nessuno meritava l’appellativo di indesiderato. Anzi, i mascalzoni avevano diritto ad un benvenuto più caloroso. Sopra l’altare, incorniciato da due colonne, un trittico di fine Seicento, l’Immacolata al centro. Ai lati, San Francesco e Santa Chiara, patrona della parrocchia. Alle pareti laterali due enormi ritratti su tela, uno di Santa Caterina, l’altro di Sant’Antonio da Padova. Due nicchie glorificavano il Sacro cuore di Gesù e San Rocco con il cane. Il luogo odorava di muffa e profumava d’incenso. Sapeva di umido e di tuberose. Di candele e di stoppini bruciati. Di sofferenza e di dolore. Di nostalgia e di serenità. Bellingeri squadrò la sconosciuta. Disapprovò la gonna troppo corta. Un tempo in chiesa le donne portavano il velo. Arrivava alle spalle e lasciava intravedere capelli. Lei li aveva castani, lisci e non troppo lunghi. Rimpianse le preghiere in latino. «Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum, benedicta tu in mulieribus…».«Salve, Regina, mater misericordiae, vita, dulcedo et spes nostra, salve. Ad te clamamus, exsules fìlii Hevae…». «Pater noster, qui es in coelis, sanctificetur nomen tuum, adveniat regnum tuum…». Altri tempi con gente più educata, più paziente, più attenta ad accompagnare le porte. La Vergine Maria indossava una tunica bianca e azzurra, il braccio destro piegato a squadra e tra le dita un rosario. Quello sinistro teso, con il palmo aperto verso una contadina, inginocchiata ai suoi piedi. La giovane, appoggiata ad un bastone, il capo nascosto da un foulard rosso annodato dietro la nuca, contemplava la Madonna con il volto estatico e una mano protesa verso di lei. Accanto, una pecora e un cespuglio di rose bianche. Il complesso in gesso necessitava di alcuni ritocchi. La signora prese un lumino dalla pila da 0,60 centesimi. Cercò il portamonete nella borsetta. Tolse due euro. Bellingeri li riconobbe dal suono della caduta nella cassetta per le offerte. Aveva faticato a sostituire il tintinnio delle cento, duecento, cinquecento lire con quello del nuovo corso, ma ora si riteneva un esperto. Le fiammelle ardevano su un ripiano di metallo nero, poco distante da un tavolo con Il Torrione, periodico diocesano, il settimanale Famiglia Cristiana, alcuni libri di preghiere e una serie di immagini sacre, i santini. La sconosciuta depose il lumino nell’angolo destro del ripiano. Da una scatola sul tavolo estrasse un fiammifero di legno. Lo accese, dopo tre tentativi. Si asciugò gli occhi con un fazzoletto rosa, ricamato. Congiunse le mani. Chinò la testa. La rialzò. Bellingeri osservò con attenzione ogni gesto. Gli veniva naturale controllare chi frequentava la chiesa, un’abitudine acquisita in quarant’anni di onorata attività. Aveva iniziato imberbe e, se si escludevano i diciotto mesi di servizio militare, non aveva mai smesso. Spegneva candele, custodiva stole, cotte, piviali, pianete, spostava messali, calici, leggii e ostensori e s’innervosiva se si imbatteva in facce sospette, barboni, zingari. Quella donna, il volto privo dell’umiltà propria di chi si accinge a chiedere un favore alla Madre di Dio, gli appariva troppo altera per sollecitare miracoli. Bella, aristocratica, sprezzante e senza fede. Mesta, ma non affranta…