Macramé

Si legge d’un fiato Macramè, con la curiosità di scoprire un disegno che lento e armonioso prende rilievo di pagina in pagina. E’ un giallo che si stempera nella nebbia padana, conservando tutto il fascino e l’ambiguità di queste umide terre della pianura, verità con più facce, contorni mai definiti, vite sempre un po’ sospese. Un delitto in una cittadina di provincia come tante, uomini e donne come ogni giorno se ne incontrano, vicende di cui spesso si legge nelle pagine di cronaca nera: straordinaria protagonista è la vita quotidiana, raccontata con quella verità capace ancora di stupire.  I personaggi si svelano senza pudori al lettore, senza tacere le proprie contraddizioni ma tenendo solo per sé chissà quanti altri segreti, inevitabilmente inafferrabili. Si può quasi navigare in questo giallo ipertestuale al punto che ogni vicenda, ogni figura, sembrano aprire finestre su altre storie, altri personaggi. Tanti fili narrativi tessono una trama dal sapore cinematografico, dove la scrittura prende il ritmo dagli stacchi netti e da sapienti montaggi alternati, mentre le vicende serrate che si susseguono dal mercoledì al sabato sanno anche dilatarsi attraverso flash back nella vita passata dei personaggi, zoom sul loro presente o effetti di rallenty suggeriti dall’infittirsi minuzioso dei particolari descrittivi. Il lettore è lo spettatore privilegiato di una storia senza un unico protagonista, in cui ciascuno è una pedina indispensabile sulla scacchiera del romanzo. Tutti fanno la loro mossa, ma la partita è davvero finita? 2002. Pagine 330

Codice ISBN: 9788890074806 Copertina: grafica Chiara Montani fotografia Giulio Giordano Grafica GMinfo@graficagm.it

Capitolo primo (mercoledì)

Si alzò, dopo una notte tranquilla e un risveglio gradevole. Sbuffò più per abitudine che per necessità. Carlo Stagnati accese il televisore, ma il notiziario del mattino aveva smesso d’essere indispensabile. Scaldò l’acqua per il tè e si fece la doccia. Si asciugò e si accorse che il lavoro non l’aveva ancora assorbito. Respirò profondamente per accertarsi che quel benessere non fosse sfuggito. La voce vellutata dello speaker informava che per i nati sotto il segno della bilancia si sarebbe prospettata una giornata ricca di sorprese. Spense il Sony. Vigore fisico e pace interiore gli procuravano una sensazione indefinita della quale aveva dimenticato l’esistenza, sintesi tra eccitazione e malinconia. Il silenzio monastico, la mente sgombra, il desiderio di prolungare quello stato di grazia lo trasportarono all’infanzia, ospite dal nonno, in una stanza enorme, una piazza d’armi, padrone del mondo, libero di fantasticare. Calpestò un foglietto bianco, uno scontrino con la data della settimana precedente. Lo raccolse e lo rigirò tra le mani. Aveva bevuto un caffè con Matilde Passaggi. Prima di quell’incontro, non aveva mai scambiato con lei più di quattro parole adatte per ogni occasione, chiacchiere imposte dalla buona educazione e necessarie per non apparire scortesi.A casa, a scuola, in collegio, genitori e insegnanti avevano profuso un notevole impegno per insegnargli a non arrabbiarsi in pubblico, a salutare le persone antipatiche, ad essere accondiscendente con i superiori, a sorridere anche se di pessimo umore. Aveva appreso l’arte delle pubbliche relazioni e imparato a dissimulare i propri stati d’animo. La sua indole rifiutava finzioni e salamelecchi e la dicotomia tra l’apparenza e la realtà gli procurava fastidiosi disturbi gastrointestinali, con i quali conviveva senza drammi. Detestava i discorsi insulsi, i gesti affettati, le smancerie gratuite, ma non riusciva a liberarsene. Sorrise. Era il suo modo per autoassolversi. Aveva provato ad intraprendere la carriera di rivoluzionario, ma con scarso successo. Non era giorno di flagellazioni e non proseguì. Bevve il tè, che era diventato scuro e si era raffreddato. Si soffermò più del solito davanti allo specchio. Verificò che la gradita sensazione del risveglio non fosse scomparsa. Il suo naso, che aveva sempre stimato troppo grande e che ora rimirava riflesso nello specchio, non gli apparve più tale. Lo apprezzò. Lo interpretò una prova di testardaggine, il segno di una persona che non avrebbe mai mollato. Non gli era mai accaduto di complimentarsi con il suo naso e questo rafforzava l’idea che la mattina fosse iniziata sotto auspici diversi dal normale. Indossò jeans, giacca e cravatta, un vezzo acquisito a trent’anni e mai abbandonato. Si aggiustò il nodo. Non doveva essere né troppo grosso, né troppo piccolo, con la striscia anteriore leggermente più lunga di quella posteriore. Non trascurava la propria immagine, ma all’abbigliamento non dava l’eccessiva importanza che gli uomini gli attribuivano, anche se l’esperienza gli insegnava che una persona in disordine creava un incontrollato moto di repulsione. Si spruzzò un po’ di profumo all’interno dei polsi e si chiese se fosse vanitoso…